Il Bosco D’amore 2011
cura scientifica Rocco Giudice
Enrico Mitrovich
Se può trarre profitto e una poetica anche dalla grafica dei primi video-giochi, una delle poche esperienze “estetiche” che costituiscono tratto identitario della sua generazione, è perché Enrico Mitrovich osserva il mondo in maniera disincantata e insieme curiosa. Mitrovich registra, annota; non si lascia entrare il mondo negli occhi senza battere ciglio, ovvero nutrendo illusioni sulla possibilità di cogliere la realtà allo stato puro: le stratificazioni del visibile richiedono una capacità di decodifica soggetta a “pressioni” e distrazioni di tutti i generi. In lui, pertanto, l’artista e l’analista di fatti minimi, di realtà incidentali o verità accidentali e consapevolezze (in)conseguenti, coesistono felicemente nel segno di un’ironia radente, ma per essere più incisiva, a fior di pelle, da apparire, senza esserlo, quasi “letterale” – come le sue immagini. Spesso, pertanto, Mitrovich affianca ai suoi dipinti “didascalie” che interagiscono con l’immagine, creando uno “straniamento”, si diceva l’altro ieri, che si lascia dietro qualche certezza di cui seguivamo le orme. Nelle sue pitture, però, l’ironia non è mai disgiunta da una capacità di trascendere il dato che chiede di essere accolto su una tela: osservazione e visione, dunque, da naturalista dei segnali che ci sommergono e ottundono la capacità di discriminare tutto quello cui, perciò, sembra prova di buon gusto rinunciare, che sia a giusto titolo e a buon fine o meno: senso, anche quando c’è; bellezza, nemmeno quando capita.
L’arte moderna si coniuga, in Mitrovich, con una tecnica “classica” e un senso antico del mestiere che gli impone di iniziare dalla fabbricazione in proprio degli attrezzi di lavoro, dai colori alle tele alle cornici, quando non le recupera e restaura con le sue mani. “La creazione artigianale dei colori (…) non è solo un atto ludico,” notava Sabrina Piscaglia nella presentazione in catalogo della mostra “Lunga vita ai fiori recisi”, tenuta da Mitrovich nel marzo di quest’anno alla galleria ABC di Milano: “è invece negazione categorica della campitura piatta così cara alla pop art.” Questa coerenza di scelte artistiche la ritroviamo anche nel Mitrovich più ‘astratto’, nelle grafiche minimali che accompagnano “Racconto”, del poeta Stefano Strazzabosco, post-modernissimo lavoro di cut-up dall’Odissea tradotta da Ippolito Pindemonte. Mitrovich fa un’operazione analoga con prelievi di immagini-gadget, facendone un palinsesto all’Ulisse senza Odissea del nomadismo contemporaneo. Basterebbero i titoli: “Velocità arcaiche”, “Directory imprigionata”, “Cruscotto: stato d’animo”: quei grumi e frantumi sparsi in attesa di una semantica che sciolga gli i voti e gli auspici accrescono lo straniamento: simili a segni alfabetici sconosciuti, le moderne immagini decontestualizzate sembrano più “antiche” delle parole ritrovate.
“Gruppo di cardellini”, visita l’erbario, Sabbati 2010, olio su tela, cm 217 x 145. I fiori sono ammaliati dal canto degli uccelli, come gli uccelli sono inebriati dal profumo dei fiori: trasparenti metafore sessuali, quando (e dove) le metafore fiorivano e erano aeree quanto flora e fauna raffigurate a misura di un impeto così sublimato. Mitrovich ha voluto giocare, ancora una volta, fra realtà e immagine, uno scarto sottile cui non sfuggono i suoi cardellini: l’erbario esiste (si trova a Catania), i cardellini non vi sono ammessi (se non imbalsamati; pertanto), il loro paradiso è un’illusione, tranne che in questo dipinto, ciò che lo rende così necessario: e la raffinatezza della pittura di Mitrovich, figurativa di piuma in piuma, tenacemente visiva eppure quasi altrettanto astratta nell’assemblare fiore a fiore, va oltre le definizioni di scuola.