Recensione di Luca Canavicchio

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Recensione di Luca Canavicchio
Abbiamo deciso di occuparci di un artista come Enrico Mitrovich, un pittore, fotografo e scultore in senso tradizionale (vedremo poi che non è esattamente così) dato che il rapporto uomo-schermo costituisce un campo di riflessione comune alla nostra web-zine. Le vicende dell’arte contemporanea, specie dagli anni Sessanta in avanti, ci hanno abituati ad un’arte che può svolgersi fuori dai confini tradizionalmente riconosciuti tra i diversi generi espressivi. In particolare, l’arte si è sempre più impadronita della dimensione temporale: questo può valere per il cinema come per la video-art, la body-art e tutte le forme d’arte gestuale, o la land-art. Enrico Mitrovich sembra compiere il percorso inverso, immobilizzando le immagini elettroniche dei videogiochi sulla tela. Ma procediamo per gradi: l’oggetto scatenante la creazione artistica, ciò che comunemente chiameremmo “motivo ispiratore”, è l’attrazione simbolica generata da videogiochi e programmi del linguaggio informatico notissimi nel recente passato, ma già caduti in disuso. “Il ciclo dell’ obsolescenza” era infatti il tema della mostra vicentina del ’95 (le opere di Enrico Mitrovich sono visibili in http://galleria.clab.it/). Ho parlato di “attrazione simbolica” a proposito delle immagini elettroniche usate da Mitrovich: in effetti i suoi “pac-man” credo possano essere accostati a quelle bizzarre figurette vagamente antropomorfe cariche di simbolo, di mito, che si vedevano nelle prime atmosfere informali, soprattutto in un pittore come Baziotes. Ma l’informale, quello di Pollok stavolta, si dimostra essere per Mitrovich un riferimento valido anche a livello formale, stilistico, come si vede ad esempio nel quadro intitolato “Pac-man catturato e ahimé scuoiato”. L’operazione qui compiuta da Mitrovich è tanto semplice quanto efficace: è ormai arcinoto come buona parte del fascino che su di noi esercitano i reperti di arte arcaica nasca da quella che potremmo definire la loro “bassa definizione”: contorni incerti, bidimensionalità, assenza di resa atmosferica o prospettica, matericità dei significanti non più celati nella resa del verosimile, sono tutti elementi capaci di destare in noi il sentimento dell’ancestrale, del primigeneo. Quelli di Enrico Mitrovich sono veri e propri “reperti di archeologia elettronica”. Trovo quindi appropriatissimo il recupero di alcuni procedimenti della pittura informale, utilizzati nella traduzione della definizione elettronica in una visione pittorica capace di attivare l’ evocazione di quei pac-man che ormai con Mitrovich assumono tutto il fascino dell’arte arcaica. Allora, in conclusione, per le opere di Mitrovich si potrebbe parlare di pittura nel senso più tradizionale. Il mezzo espressivo resta del tutto pittorico, anche se di fronte al pittore sta adesso l’immagine elettronica. Tuttavia non abbiamo parlato di alcuni siti internet aperti da Mitrovich con alcuni collaboratori. Lontani da essere delle semplici gallerie telematiche di quadri, questi siti mostrano d’essere stati essi stessi oggetto di ulteriore elaborazione artistica. Su di essi dovremmo dunque tornare.
Luca Canavicchio