di Giovanna Grossato

Enrico Mitrovich inizia nel 1995 la sua attività d’artista partendo da una riflessione sui videogiochi e sul loro linguaggio iconico cosmopolita, evocativo
senza essere descrittivo. Il suo interesse si rivolge però anche ai medium “classici” come il disegno, l’acquerello, la fotografia, la scultura, la pittura ad olio, con una versatilità che osserva sia gli esempi del mondo antico quanto
le dinamiche di quello contemporaneo, oltre che la letteratura e la natura (vegetale e animale, uomo incluso), con uno sguardo spesso ironico e mai pungente. Mitrovich, infatti, è un profondo amante della natura che diventa spesso soggetto dei suoi dipinti, come documentano mostre quali Hortus Conclusus, ai Laboratori Cagliani di Milano (2015); Il giardino Segreto e La lezione del canarino (2016), alla Galleria Ghelfi di Vicenza, o Lunga vita ai fiori recisi, presso la Galleria ABC di Milano (2011).
Per questo la sua attività espositiva si impone all’attenzione anche fuori dalla provincia in cui vive e opera, tanto che la sua biografia è presente nel volume La Pittura nel Veneto, Il Novecento. Dizionario degli artisti, nella Net Art Guide dell’E-Business Innovation Center di Stoccarda (2001), in un numero monografico sui video game del Philadelphia Inquirer Magazine, nel saggio di Matteo Bittanti Per una cultura dei videogames. Teoria e prassi del video giocare, del 2004.
La sua esperienza artistica, insomma, non è stata mai ristretta ad un gesto pittorico tradizionale e la partecipazione a manifestazioni quali ApertoTorino
(2003), o alla collettiva NetArt alla Galleria Cafenzo di Seoul (1999) o all’Asolo Film Festival con il musicista e amico Giovanni Sarani (2007), testimoniano la varietà di interessi che stimola la creatività di Mitrovich.
Anche molte delle sue personali, in luoghi e con allestimenti particolari, lasciano
la traccia di una ricerca mai scontata e una curiosità mai attutita nei confronti delle dinamiche attuali: alla Galleria ABC di Milano (2002 e 2005), al Teatro Comunale di Lonigo VI (2003), al Teatro Astra (1999) e alla Galleria
Cheiros (1997) di Vicenza e, ancora, a Bologna, Pavia, San Marino, oltre alle collettive: al Palazzo della Gran Guardia di Verona (2006), alla Galleria Loft di Valdagno (2005), alla Galleria Città di Padova a Padova (1999).

Nel 2017 intraprende l’opera 10.000 cardellini ancestrali, la cui conclusione, se così può definirsi un intervento che ha tutte le caratteristiche di qualcosa con una forte attitudine al volo, coincide con l’esposizione a Villa Cerchiari di Isola Vicentina, nell’ottobre 2018.
Com’è intuibile, dipingere 10.000 cardellini è diventato, a partire dal 2017, un aspetto molto impegnativo nell’esistenza, non solo artistica, di Mitrovich.
Qualcuno potrebbe chiedersi quale sia la motivazione che può spingere a scegliersi un obiettivo così arduo. Il fascino esercitato da questo piccolo volatile conosciuto e (purtroppo) costretto in cattività fin dai tempi più remoti
è dovuto essenzialmente alla bella colorazione della sua livrea ed al canto melodioso. E’ stato oggetto di un mito, raccontato da Ovidio nelle Metamorfosi,
secondo il quale il cardellino sarebbe in realtà una delle Pieridi, Acalante, trasformata in uccello da Atena. E, in generale, gli antichi hanno ritenuto che rappresentasse l’anima che vola via al momento della morte, un significato che è poi stato mantenuto simile in ambito cristiano, dove il cardellino diviene, inoltre, simbolo della passione di Cristo. Perciò, come tale venne rappresentato in numerosi dipinti rinascimentali come presagio del destino del Messia: da Raffaello, nella famosa Madonna del cardellino, a Bronzino, a Carlo Crivelli, da Biagio d’Antonio, a Federico Barocci, a Cima da Conegliano. Lo raffigurò anche Jacopo del Casentino, nella Madonna del Rosario; Pieter Paul Rubens, nella Sacra Famiglia di Colonia; Giambattista
Tiepolo nella Madonna del cardellino; il Guercino nella Madonna col Bambino e un cardellino che scappa, Michele Giambono nella Madonna col Bambino che tiene in mano il cardellino.
E inoltre, il cardellino in gabbia è stato dipinto in altri quadri più recenti,
come ad esempio ne I bambini Graham di William Hogarth, in Manuel Osorio Manrique de Zuñiga di Francisco Goya e in Nord Sud di Joan Miró.

Menzione speciale nella storia dell’arte merita lo straordinario dipinto Il cardellino
di Carel Fabritius, un pittore olandese del ‘600, tra i più dotati allievi di Rembrandt, da cui prende spunto il famoso romanzo, intitolato, appunto Il Cardellino con cui Donna Tartt vinse, nel 2014, il Premio Pulitzer per la narrativa.
Dunque la storia artistica e la simpatia di questo vispo passeriforme dalla caratteristica mascherina facciale rosso scuro, e un’ampia striscia alare gialla
che ha sedotto anche musicisti come Antonio Vivaldi, potrebbe costituire motivo sufficiente per la reiterazione compulsiva di Mitrovich nel volerlo riprodurre, offrendone nella grande istallazione a Villa Cerchiari l’immagine esplosa: come se si fossero aperte diecimila gabbie, come se gli alberi e i cespugli di un fitto bosco si fossero scossi dai rami questi uccellini, dentro al salone d’onore; come se il loro canto avesse la forza di soverchiare i rumori molesti del mondo.
Come se diecimila della stessa specie potessero dimostrare, semplicemente con il loro esistere, quanto si possa essere simili, pur avendo qualche piccola differenza nel piumaggio.

Giovanna Grossato

estratto catalogo 2017 > Profumo di carta